Articolo a cura di don Maurizio Girolami, direttore dell’Istituto di Scienze Religiose di Portogruaro
Per far emergere la realtà bisogna prima immergersi in essa. Riemergere da essa non significa essere purificati ma solo più carichi di memoria, spesso indicibile.
Con queste brevi espressioni potremmo, in modo assai approssimativo, riassumere il film poetico di Luca Guadagnino, che ben merita, per cast, regia, fotografia e colonna sonora, il plauso estetico del pubblico. Chi si immerge in questo film non può non restarne coinvolto, toccato e anche ferito.
Nella campagna di un paese del nord Italia dei primi anni ‘80, durante il periodo della canicola estiva, una famiglia di origine ebraica, che ha il solo figlio diciassettenne Elio (Thimotée Chalamet), appassionato di lettura e di musica, giunge, per un periodo di tirocinio presso il padre del giovane protagonista, lo studente americano Oliver (Armie Hammer), prestante nel fisico, intellettualmente colto e sveglio, aperto alla socialità senza mostrare alcuna timidezza.
La spavalderia con la quale lo studente fronteggia la novità di ambiente e di relazioni, crea nel giovane Elio una reazione di repulsione, in un primo momento, che ben presto però si trasforma in una vera e propria passione amorosa travolgente. Il film accompagna passo dopo passo lo spettatore a immergersi nella trama di sensazioni ed emozioni del giovane protagonista. Egli è un adolescente in cerca del proprio mondo interiore che non è più solo ricettacolo delle vite altrui attraverso le letture dei molti libri che sono in casa (anche nella soffitta polverosa e abbandonata) e la musica che egli trascrive e reinterpreta adattandola ai diversi autori (la scena di lui che suona Bach con lo stile di List), ma, seguendo la pulsione irruente della sessualità, diventa lui stesso autore di qualcosa di nuovo e vissuto pienamente da lui.
Vivere ogni cosa fino in fondo, anche l’amarezza e la tristezza, sarà infatti questo il consiglio che il padre Lyle, facendosi oracolo ed interprete della tempesta emotiva provata, gli darà. Simbolo di questa trama sono le innumerevoli scene che hanno come protagonista l’acqua, nella quale, come diceva Eraclito – puntualmente ricordato – non ci si può immergere due volte nello stesso momento. Tuttavia non è l’acqua che scorre ma è chi vi si immerge che non più lo stesso quando vi risale. Significativa, a questo proposito, è l’immagine della statua di Venere ritrovata nel lago di Garda: la bellezza antica, pur avendo subito secoli di trasferimenti e di sommersione acquea, resta ferita e monca.
Così anche le emozioni di Elio provate per Oliver, sono bellezze sepolte o sommerse che attendono l’occasione propizia per emergere alla luce. L’emozione impossibile da comunicare è il desiderio di Elio di rendere manifesta la propria passione per Oliver, instaurando un rapporto che non è solo intensa amicizia, ma un’intimità così intensa che trova nel rapporto omosessuale il suo sbocco – sembra – naturale. Non si tratta solo di infatuazione per una persona dello stesso sesso, ma di un desiderio di fusione così profondo che l’uno può essere chiamato con il nome dell’altro senza alcun timore che la differenza tra i due possa in qualche modo fare scintille con un amore che è desiderato come fusionale.
È forse questo l’aspetto più vago – aggettivo attribuito nel film alla cultura francese in genere –, o ambiguo, del film. L’amore tra Elio e Oliver è così capace di fondere insieme le persone tanto che possono scambiarsi i nomi, cioè le proprie storie, annullando ogni differenza; e tale amore viene descritto in modo poetico, esteticamente convincente e pieno di sensualità. Tuttavia è anche il punto concettuale più debole del film perché l’amore non fonde, ma unisce le differenza senza per altro confonderle o mutarle. Anche il giudizio etico del regista resta vago e fa in modo che resti vago il giudizio dello spettatore su questa relazione di due giovani che fanno emergere le proprie emozioni come una delle cose più belle mai capitate. Tuttavia il calore di quell’estate avrà ben presto triste esito perché risulterà solo un’esperienza di pochi giorni, che, per quanto travolgente, non può divenire una scelta di vita.
Infatti quando arriva l’inverno, con le bellissime fotografie degli stessi paesaggi innevati, ben presto arriva anche per Elio la raggelante notizia che Oliver si sposerà. L’“usurpatore”, così come viene chiamato Oliver nella prima parola del film e il “traditore” – quando non gli rivolge la parola – pur ricordando tutto della esperienza vissuta, non potrà fare di questa esperienza il fondamento della propria esistenza, perché la fusione e la sostituzione di identità non costruisce né relazioni né persone, ma solo le appiattisce e le svuota.
Resta deluso chi attende dal film un qualche giudizio etico che possa esaltare o sminuire l’esperienza di Elio con Oliver, anzi, indignato chi vuole vederlo addirittura come una concessione alla pederastia (Elio è un minorenne).
Tuttavia, restando al dettato filmico, la forza della sessualità viene messa in scena come espressione di un mondo interiore adolescenziale in cerca della propria identità ovunque la può trovare: nella lettura, nella musica, nella natura, nel sesso promiscuo. Per questo il film è consigliato per un pubblico adulto, ma soprattutto educato alla cultura classica che permetta di cogliere le molte e ricche sfumature che Guadagnino, in modo esteticamente magistrale, ha saputo comporre insieme.
Un aspetto pedagogicamente positivo è la figura del padre che fa da professore delle emozioni del figlio e gli spiega che quanto è accaduto non è da rigettare ma tutto va accolto e assaporato perché, per quanto si possa interpretare, leggere e studiare, ciò che vale la pena veramente di conoscere è se stessi immersi nella propria storia.